Il reportage nel libro "Le terre infrante"
Il sisma del 1908 nel racconto di Jean Carrère
Laura Simoncini
Messina
Erano le 5,21 del 28 dicembre 1908 quando, in 27 interminabili secondi, avvenne l'immane cataclisma che distrusse Messina. A quasi cento anni dall'apocalisse le dimensioni della catastrofe, sono tutte rintracciabili nel reportage del giornalista francese Jean Carrère, che allora venne a visitare questi luoghi. Oggi le sue pagine dal titolo "Le terre infrante. Calabria e Messina – 1907 – 1908 – 1909", a cura del dott. Giuseppe Pracanica, presidente dell'Istituto Novecento, possono essere rivissute grazie alla traduzione della prof. Rosa Maria Palermo Di Stefano, direttrice del dipartimento di Lingue e Letterature Straniere dell'Ateneo messinese, con la prefazione del prof. Francesco Mercadante. Inoltre la maggior parte delle fotografie - pubblicate su "L'illustrazione Italiana" - sono state recuperate e riprodotte nel testo dal prof. Angelo Raffa. Quella di Carrère fu una cronaca del tempo minuziosa e appassionata che ebbe inizio nell'ottobre 1907 quando, come giornalista, visse un'esperienza di tirocinio in terra calabra, località Ferruzzano. Giunto in riva allo Stretto definì la città: «Strana, in effetti, per quel non so che di fantastico e di signorile che la fa somigliare da lontano, allo scenario illuminato di qualche favolosa Atlantide». Splendido il racconto della Fata Morgana o l'incanto provato dinnanzi alla "Palazzata" e alla dirimpettaia fontana del Nettuno; terribile il momento in cui grida di strilloni annunciano morte e distruzione a Messina e rovine in Calabria. Man mano che le pagine scorrono l'odissea di quell'evento, con morti e feriti, prende il sopravvento ma non mancano descrizioni sui valorosi soccorsi prestati da marinai e soldati. «Sì, ne sono sicuro – scriveva infine il giornalista 17 aprile 1909 – fra noi tutti che siamo venuti da Roma o da Napoli per vedere, come Messina poteva rinascere, non c'è uno solo, che non proverà il desiderio, il bisogno di ritornare qui per seguire in strofe di legno, di cemento o di pietra, la marcia ascendente di questo poema vivente che è la resurrezione di un mondo».