SEGESTA: IL RACCONTO DI UN SUPERSTITE
Ad un anno dalla tragica collisione dello Stretto, in cui persero la vita quattro persone, lo città di Messina si ferma per ricordare quel 15 gennaio. Noi vogliamo farlo attraverso la testimonianza di chi, a bordo del Segesta, c'era.
E' passato un anno dalla collisione tra il mezzo veloce di Bluvia e la nave portacontainer Susan Borchard, ed ancora oggi, ad un anno di distanza, mi chiedo come mai sia potuto accadere e soprattutto di tutto il frastuono sulla sicurezza nello stretto che ne è stato.
Nel raccontare l'avvenimento, proverò ad essere più obbiettivo possibile. Non voglio, con queste mie considerazioni, sostituirmi alla magistratura, che ha il gravoso compito di stabilire di chi sono le responsabilità di ciò che è accaduto.
Ad un anno di distanza il susseguirsi delle scene è ben presente, e la consapevolezza che il bilancio delle vittime poteva essere ben maggiore si fa sempre più evidente nel vedere ormeggiato il mezzo veloce "Segesta" al molo Norimberga.
Come ogni lunedì (il 15 gennaio 2007 era lunedì) mi apprestavo, alle 17 e 20, con un collega di lavoro ed altri due amici pendolari, ad aspettare a Reggio Calabria il mezzo veloce per fare rientro a Messina. Si discuteva del più e del meno e soprattutto della serata tiepida, quasi primaverile, in aperta contraddizione con il calendario e con una visibilità inusuale. All'imbarco sul Segesta vedo il caro Comandante Mafodda e l'equipaggio di sempre e mi tranquilizza l'alta professionalità di ognuno di loro, soprattutto conoscendo i trascorsi velici del comandante.
Non so se per istinto o per quel pizzico di fortuna che nei momenti topici accompagna la vita di ognuno, essendo il primo del mio gruppetto ad entrare nella nave, mi sono andato a sedere nella quarta fila di posti centrali verso prua. Sale la passerella, si staccano gli ormeggi e inzia così la traversata che si preannuncia tranquilla e serena.
Ma all'improvviso mi assale un senso di apparente disagio, che solo adesso riesco a definire come un misto di angoscia e tristezza, che ho cercato di mandare via pensando alle varie incombenze che la sera stessa avrei dovuto risolvere.
Passano circa 15 - 20 minuti di navigazione, fra le discussioni con il collega e gli amici seduti accanto a me, e sento il cambio di rotta repentino della nave, il rumore violento e continuato. Mi sono sentito sbalzare dal sedile. Ribadisco che sono state delle senzazioni che sono iniziate all'incirca un paio di minuti prima dell'impatto, avvertendo un rumore dei motori strano e il contemporaneo cambiamento di rotta.
Il rumore violento dell'impatto è stato tremendo e sentendomi nell'immediatezza sbalzato dal posto in cui ero seduto, ho realizzato che forse ero arrivato alla fine della mia vita. Fortunatamente mi sentivo ancora e riuscivo a percepire le persone. D'istinto ho chiamato i miei "compagni di viaggio" e, assicuratomi della loro integrità fisica, ho cercato di vedere cosa fosse successo.
Ciò che si è presentato ai miei occhi, che ho percepito con le mie orecchie è stato scioccante, gente a terra ferita che si lamentava e soprattutto una signora anziana che chiedeva all'equipaggio di prestare soccorsi al marito che era ferito alla nuca. Forte lo shock nel vedere la prua della nave portacontainers incastrata nelle lamiere del Segesta. Tutto questo avveniva nell'arco di circa cinque minuti.
Non so come sono riuscito a mantenere la calma (forse è stata una bella dose di incoscienza), ho cominciato a telefonare per allertare i soccorsi e avvisare i parenti. Nel chiamare i familiari li ho rassicurati, dicendo loro che non mi era successo niente di grave. All'unico amico che ho chiamato per i soccorsi, con voce tesa, ho detto ciò che era avvenuto in maniera molto lucida e consapevole, al punto che solo qualche giorno fa mi ha confessato di essersi veramente allarmato. Chi era presente alla telefonata mi ha confermato il suo cambiamento d'espressione, era pallido prima di intervenire con il mezzo di soccorso.
Soccorsi che, devo essere sincero, sono stati repentini. La presenza contemporanea di più mezzi dei Carabinieri, Guardia di Finanza, Capitaneria di Porto e privati ha contribuito affinchè non ci fossero altre vittime.
Salito su una motovedetta della Guardia di Finanza per ritornare a Messina ho visto dall'esterno come erano incastrati i mezzi coinvolti nella collissione, ed è un'immagine che non andrà mai più via dalla mente, al punto che tuttora non riesco più a salire su una nave, o su una qualsiasi altra barca, dopo l'imbrunire.
Adesso, dopo un anno, il mio pensiero, scevro da ogni sentimento personale, va all'equipaggio di quella sera, che al di là delle rispettive responsabilità (in fase di accertamento dalla magistratura), va rispettato e non dimenticato, come purtroppo invece ho la senzazione di intuire dalle Istituzioni. Non si è fatto niente affinchè la sicurezza della navigazione sullo Stretto migliorasse (ricordiamoci che il sistema di controllo del Forte Ogliastri il 15 gennaio scorso aveva smesso di funzionare alle 17, circa un'ora prima della collisione) anzi le tabelle di armamento prevedono la riduzione del personale di bordo.
E la cosa più grave è che tali tabelle di armamento sembra siano state autorizzate proprio dallo stesso Ministro dei Trasporti Bianchi (ex rettore dell'Università di Reggio) che il giorno dopo la collisione prometteva più sicurezza sullo Stretto. Promessa che si è concretizzata solo con l'apertura per l'intera giornata (24 ore su 24), già prevista diversi mesi prima, della stazione di controllo di Forte Ogliastri, ma senza aumentare il numero dei mezzi ad esempio dei Vigili del Fuoco, operativi in mare.
Tra le tante amare riflessioni su ciò che avvenuto, mi viene da pensare a quattro onesti lavoratori che per portare in maniera dignitosa a casa uno stipendio ci hanno dovuto rimettere la vita. A 150 persone segnate a vita nel proprio intimo, e qualcuna pesantemente anche nel corpo. E domando a chi ha responsabilità di governo, chi rimedierà a tutto ciò? Se rimedio ci può essere.
Anonimo Siciliano, al secolo Antonio Scanu