Il 28 dicembre del 1908, alle ore 5,21, la città di Messina subì la violenza di un tremendo terremoto che raggiunse l’undicesimo grado della scala Mercalli. Il sisma, che provocò il crollo del 90 per cento degli edifici pubblici e distrusse le vie di comunicazione stradale, ferroviarie e marittime, fu uno dei più grandi disastri mai avvenuti. Un tremendo rombo scosse la terra che traballò. Il cielo che era quieto, all’improvviso, divenne minaccioso e i palazzi si accartocciarono e rovinavano su sé stessi sommersi dalla polvere. Le grida della gente, i lamenti si elevarono verso il cielo, tinto di rosso, presago della grande catastrofe che si stava compiendo. Tutto venne distrutto dagli incendi che divamparono e dalla furia di un maremoto che sconvolse il volto di una città tranquilla che si preparava a festeggiare il nuovo anno. Onde gigantesche, alte più di dieci metri, si riversarono sul litorale e con rabbia demolirono le case e risucchiarono i corpi dei morti, e dei vivi, barche e navi ormeggiate, e quanto era ancora era rimasto in piedi.
Dell’Area dello Stretto, che comprendeva Messina e la sua provincia, conosciuta fin dall’antichità per le bellezze paesaggistiche, culturali e architettoniche, e la città di Reggio Calabria, non rimase altro che un pugno di macerie e il pianto dei sopravvissuti sui corpi martoriati dei congiunti.
Al Teatro Vittorio Emanuele, il sipario, che si era chiuso sulle note dell’Aida di Giuseppe Verdi, si chiuse all’alba sulla vita di una città di illustre memoria, inerme di fronte alla furia devastante di una natura irrazionale.